dal Diario di una progettazione.

Mi facevo guidare da ciò che mi accadeva e nemmeno sul mio diario riuscivo a descrivere un evento o annotare una giornata nel dettaglio. Sentivo una musica e immaginavo un’altra storia, ricordavo una immagine e la stessa si modificava. Scrivevo di come quel materiale mi provocasse sensazioni diverse al momento del tatto e subito dopo, la mia testa mi regalava un disegno e mentre provavo a terminarlo con la testa o con le mani, qualcosa mi bloccava. Qualcos’altro mi scuoteva e rincominciavo, non riuscivo a fermarmi e a volte, nemmeno a concludere. Decisi di prendere in mano la situazione, volevo analizzare il processo della mia immaginazione, per razionalizzarla in uno schema definito e guidare il mio pensiero a compiere collegamenti razionali per gestire le energie. Dovevo entrare quindi in questo spettacolo, scriverlo e viverlo per farmi guidare. Libera da sovrastrutture, avrei dovuto farmi avvolgere dal mio essere, dal mio io, dalla mia me che scriveva in continuazione con gli occhi della mente. In tutto questo c’era un’altra me che provava sensazioni, stati d’animo dovuti a fatti realmente accaduti o ad eventi condivisi con le persone e la stessa, una volta sola, ne provava altri e non si accorgeva di creare accostamenti con gli stessi, non sapeva se era frutto di un pensiero logico e congeniale al suo vissuto o al suo istinto. Il mio diario era colmo di frammenti disconnessi, di tutte queste azioni vissute realmente dentro di me e fuori nella realtà o davvero immaginate. Le parole si mischiano, così come il tempo e il prodotto divenne una visione distorta di un caleidoscopio che racchiudeva l’obiettivo di progettare un modello.

L’autunno divenne una non stagione, in un non tempo, in un luogo che raccoglieva riflessi di svariati posti. Viaggiai di notte per città europee, alternando luoghi glaciali e abbandonati, trovandomi invece in posti esotici di giorno, oppure si ribaltavano le regole, non riuscivo mai a pianificare, mi trovavo sempre con degli abiti sbagliati, non ero mai io a decidere niente. Oh, quanto mi avrebbe aiutato un pò di sano raziocinio e dire no, non partirò! Ma la curiosità impone sfide continue e io ero pronta ad abbandonarmi alla pura non-pianificazione per godere o soffrire, alla vista dell’ispirazione reale, di quell’essenza... a costo di aumentare il suo ego, a me non interessava, anzi, avrei incentivato questo suo difetto e questo stereotipo nelle persone nel vederla così elevata, lo era davvero, se pur terribile……………………………………………………..
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Le sue note morbide e graffianti allo stesso tempo, mi scuotevano l’anima e io creavo.
Chiusi gli occhi per un istante e immaginai la materia fredda tra le mani, mi graffiava, era lei la refrattaria. La mia musa era una materia sanguigna, in cui trovai l’essenza della progettazione in costruzione, guidata da una continua metamorfosi, un’opera finita in costruzione, era una delle mie ossessioni, da sempre, ancor prima di conoscerla, ma lei, mi donava nuovi significati e tutto mutava continuamente. Beffavo sempre la realtà, modellando materia invisibile, mi accorsi invece che ero io una statua, ed ero completamente sua. Danzavo, danzavo per lei………………………………………….. ———————————————————————————————————-
Anche io avevo 8 strati +1 pochi lo sapevano, io stessa non ne ero del tutto a conoscenza. Mi impegnai in questa folle lotta per raggiungere quella materia tra le mani. Davanti ad uno specchio ricalcai la mia sagoma e decisi di imprimerla su 8 materiali diversi. Il +1 invece, ero io sconosciuta, era la mia me che non conosceva gli 8 strati, era la più pura e decisi di lasciarla sempre a casa per non rischiare di romperla, era troppo delicata, fatta di vetro e creta secca, si sarebbe frantumata dalle sue stesse mani…
ma con dell’acqua sarebbe rinata e quella trasparenza, conteneva forza. C’erano 8 me che vagavano per la città alla ricerca dell’ispirazione, della musa, della sagoma sconosciuta e quelle 8 me, erano diverse l’una dall’altra ma tutte, custodivano lo stesso obiettivo: creare forme con materia intangibile, per mostrarla a tutti, attraverso il riflesso della mia musa che odorava di arte. Per raggiungere l’obiettivo avrei dovuto associare tutte le mie immagini, i miei 8 strati a quelli della musa o dello sconosciuto, creando accostamenti cromatici perfetti per dimostrargli chi fossi. Purtroppo a mia insaputa, ero accompagnata dall’animale mitologico del desiderio che mi comandava di non custodire un gioiello ma di indossarlo e possederlo. Sfortunatamente o fortunatamente per me, l’impresa fu un fiasco. I miei strati incontravano quelli della musa sempre ad orari sbagliati e in momenti insensati. Gli accostamenti non erano mai corretti, ogni volta mi rendevo conto che una delle tante me, quella corretta, si trovava a casa o in giro per la città, o forse camminava in equilibrio su un filo a Londra, un’altra, fotografava cancelli in ferro battuto a Gerusalemme, insomma, come gli abiti, anche la mia persona era sempre fuori luogo in qualunque momento e quello che accadde fu terribile. La musa però sorrideva, era attratta dalla follia e questa cosa in realtà, creò un grande scompiglio dentro di me, mi frantumò e lei iniziò a sua insaputa a gestire molte più cose…Si impossessò del mio corpo e della mia mente. Decise così per gioco, di riempirmi il petto di spilli, mentre mi guardava con dolcezza, sentendo il mio dolore e sentendosi forte per questa devozione, continuava ad inserirli e a premere sempre di più il mio petto e io non riuscivo a fermarla perchè era diventato una meravigliosa gabbia, con incastonati piccoli brillantini, non potevo fermarla, il mio corpo era diventato un gioiello.

—————————————————————— -----------------------------------------------------------In preda al mio solito formicolio scrissi con del colore blu sulla parete: un foglio di acetato ci divide…………………………………………………………….

Danzerò in modo statico per te, fingerò che tu sia corda e legno.

etc…

Questo era uno dei tanti racconti che serviva alla mia me per ordinare alcune immagini in uno storyboard. Stavo iniziando a costruire la mia tabella per racchiudere alcune forme, accostando immagini e parole, solo così la mia testa avrebbe potuto bloccarle in un tempo definito, trasformando queste in memoria. Le singole immagini descrivevano come sempre altre storie di eventi vissuti, immaginati o sensazioni provate, tutto si amalgamava creando nuovi contenuti. Il lavoro era infinito, io lo sapevo, sarei riuscita a concluderlo solo se avessi fatto una scelta ma io non ero capace a scrivere una bella storia e non era questo l’intento. Stavo studiando il meccanismo della mia immaginazione e volevo provare ad ispirarmi grazie ad immagini che creavano altre immagini collegate da un perfetto no sense. Le immagini che avrei selezionato, come colonne portanti delle mie idee, sarebbero state quelle in grado di connettere il mio amore, le mie passioni a qualcosa di più elevato, per poi inserirle nuovamente in altre storie magari non scritte da me.

Ieri notte, ho iniziato a ricoprire il petto di spilli. Sono molto coerente con i miei progetti. Sto usando per cominciare materia tossica, (3+1) E’ un corpetto realizzato con fibra di vetro, se pur asciutto appiccica ancora e so che alcuni filamenti oltre a pungermi, li sto ancora inalando, non uso i guanti, la mia pelle tocca quella materia…Devo ricordarlo! Per godere quando tra le mani conserverò materiale puro, naturale… Buco prima la superficie con un piccolo scucino che mi ha distrutto le mani, non avendo in casa un punteruolo o qualche attrezzo simile… Sentivo di usare inoltre altri muscoli delle braccia… Mi stavo allenando forse.
Il relax si presentava quando inserivo gli spilli. Che contraddizione piacevole! Nelle miei storie quella era la parte più dolorosa, nella realtà invece, nella creazione, è piacere, fisico, essendo il gesto che impegna meno forza, mentale, perchè i miei occhi possono ammirare la materia che prende forma. Ho infilato gli spilli lasciandoli a metà; esteticamente sarebbe stato più bello vedere solo l’estremità della testa dello spillo, come un piccolo brillantino, un gioiello, come descrivo nelle mie storie ma non sono interessata all’estetica qui, mi interessa l’anima di un gesto concreto immortalato in un tempo preciso, o meglio, fermare quel tempo immacolato per i miei occhi, quando lo spillo mi buca il petto e sta per raggiungere l’interno della mia carne ma ancora non ha raggiunto quella linea che demarca l’inizio e la fine dei miei pensieri, è a metà… Così ho versato un pò di colla, di nuovo penso che esteticamente non funziona; quando gli spilli si muovono danno l’idea di un pelo, un filo, qualcosa di leggero che crea movimento e regala l’ illusione di un tatto delicato, invece di nuovo la coerenza mi guida per immortalare quel materiale, rappresentando la sua vera natura, statica e pungente… Poi mi sono fermata, ho deciso di dedicarmi giornalmente a riempire il petto di spilli, non voglio terminarlo con quella voracità che si nasconde sempre nel mio stomaco nel voler vedere subito l’oggetto finito, così ho scoperchiato la mia parete argentata, di nascosto, furtivamente dalla mia me e ho staccato la mia tavola colori. Quegli accostamenti cromatici che raccontano tutto, in cui potrei non scrivere e raccontare nulla, quei colori rappresentano tutte le 8 storie + 1 e molte altre che ho scritto in un tempo che non è più mio e quelle ancora che scriverò domani…. Tutto questo mi stava aiutando, era una difesa forse, ma era una terapia perfetta e sentivo che piano piano le forze tornavano in me ma non era abbastanza.
Qualcuno mi consigliò di fare sport ma non ero attratta da niente di tutto ciò e la palestra solo a sentirla nominare, mi stancava mentalmente…………………………………………………………